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sabato 21 marzo 2009

Il progetto che vorrei…

Mi rendo perfettamente conto che nella zona dove abito, vicino all’ ex rimessa AMT di Boccadasse, esiste una complessiva disomogeneità tra gli edifici presenti.

Le date in cui sono stati costruiti gli edifici in via Beretta sono diverse rispetto a quelle degli edifici di via Boccadasse e di via A. da Brescia e quindi le case, i condomini hanno valori architettonici visibilmente differenti. Aggiungo anche che guardando il mare e volgendo lo sguardo a sinistra si vedono antichi alberi che circondano le belle ville di via al Capo di S. Chiara.

Nonostante ciò, mi ostino a desiderare un’uniformità che non crei interferenze con le visuali panoramiche e che non alteri il paesaggio nel suo complesso, ricerco l’obiettivo di poter veder realizzati edifici di dimensioni e tipologia compatibili con quelli circostanti.

Il progetto che vorrei parla di condomini, case a forma di cubo, parallelepipedo…forme geometriche varie… edifici, insomma, sicuramente di limitata elevazione e limitati ingombri per ridurre al minimo gli impatti visivi dagli edifici circostanti.

E inoltre, sempre per raggiungere l’obiettivo di compatibilità con le tipologie e dimensioni degli edifici circostanti, il progetto che vorrei utilizza materiali di uso locale e gli intonaci, le coloriture sono moderni ma integrati con il preesistente.

A questo punto, certa dell’esistenza del progetto che vorrei, potrebbe iniziare la discussione sulla presenza e utilizzo del “verde” e poi sui parcheggi e poi sui portici e via via….

a presto

Antonietta Sciutto

giovedì 19 marzo 2009

E sarebbe bello...


Gent.li Promotori del Comitato,

dopo aver partecipato all'assemblea di lunedì 16 marzo di cui danno conto i quotidiani di stamattina, mi é caro sottoporVi il post che segue in segno di condivisione di intenti.

Una straordinaria e trasversale partecipazione di boccadassini, almeno a giudicare dal numero di presenze e dall’appassionato coinvolgimento dei convenuti all’assemblea di lunedì sera 16 marzo nei locali della Parrocchia del Santo di Padova: se il teutonico progetto dell’arch. Mario Botta venisse sottoposto a referendum non solo tra i residenti, ma anche tra tutti coloro che hanno a cuore le sorti del borgo marinaro, l’esito sarebbe scontato. Una grandinata di bocciature non solo per l’architettura tipo militare ( Forte Sperone apparirebbe più snello ! ) ma anche per la smania edil-speculativa di qualche amministratore prodigo di concessioni solo a favore degli adepti al cosiddetto “partito del mattone”. E’ davvero singolare, infatti, che nonostante quarant’anni di inarrestabile declino della popolazione della città continuiamo ad assistere impotenti a forsennate edificazioni il cui reale scopo pare essere quello di racimolare qualche soldo per tamponare le gestioni spregiudicate di società pubbliche dotate di appetiti molto privati; è indubitabile che la nostra civica amministrazione abbia proceduto disinvoltamente alla svendita del patrimonio immobiliare causando un danno all’erario di svariati milioni sul quale la magistratura sta indagando ma, soprattutto, deprimendo gli interessi e le aspettative legittime di coloro che a Boccadasse ci vivono e lavorano. Quindi, a chi giova la discutibile operazione urbanistica ? Sicuramente agli investitori della cooperativa acquirente i quali si vedono così moltiplicare in un balzo l’investimento a dispetto del decoro e dell’amenità del secolare borgo marinaro che nel tempo, oltre che luogo di risonanza sconfinata, ha assunto il rango di luogo dello spirito. Prima che l’ex rimessa di autobus venga abbandonata al suo destino come è capitato, ad esempio, all’area che prospetta lo Champagnat, trasformata dopo tanti anni di indecorosa e miserevole fatiscenza in un assai discutibile edificio con hard discount incorporato oppure allo spiazzo oggi occupato dalla stazione di carburante con gli inestetici garage sottostanti, propongo, previo un congruo ridimensionamento dei volumi previsti nello sgangherato progetto dell’architetto svizzero, di adibire non più della metà degli spazi che verranno realizzati ad edilizia residenziale e nella restante quota di trasferire la sede del negletto IIT – Istituto Italiano di Tecnologia, ad oggi relegato in un anonimo stabile di Morego, o, quanto meno, di realizzare un centro culturale a favore dei genovesi, magari sul modello del centro culturale G. Pompidou di Parigi che guarda caso è stato progettato proprio da un assai promettente poco più che trentenne architetto genovese. Si potrebbero così compensare le attese di rendita del privato acquisitore con la prospettiva, decisamente più nobile, di realizzare un nuovo e vitale centro di aggregazione ed incontro per scienziati, studiosi, curiosi cittadini legati solo da un unico ma indissolubile filo: una grande passione per Boccadasse.



Paolo Cornacchia

martedì 17 marzo 2009

Ieri sera...

La fortezza di Boccadasse


Il titolo del mio messaggio sintetizza il mio sentimento sul progetto attuale: qualcosa di avulso dal quartiere e chiuso in sé. Un "isolato", nel senso letterale del termine. Forse esagero, ma mi ricorda la Fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari, anche se sembra non ci sarà il cartello Zona militare - Limite invalicabile
Ho sentito esprimere dagli abitanti limitrofi perplessità sulla "corte" interna, sui portici, sulla scuola e sui locali commerciali e pubblici.
Che senso avrebbe una "corte" interna relativamente ampia ed aiuole esterne esigue o assenti, se non conforme all'idea di qualcosa ad uso elettivo degli abitanti del Forte, stanziali o meno ?
D'altra parte ho ricevuto da Ottonello risposte molto evasive (si è trincerato sull'"incompetenza tecnica", ma non mi ha convinto) sui volumi edificabili.
Mi si è quindi rafforzato il dubbio che già avevo: sui volumi si sta giocando; e mi spiego.
Dopo notevole fatica mi sembra di avere capito che il complesso sarà caratterizzato, per impegno preso con gli acquirenti dell'area, da 9000 mq. (metri quadrati) abitabili. Poiché un appartamento è alto circa 3 ml. (metri lineari) si tratterebbe di circa 27.000 mc. (metri cubi). Temo che questo sia l'unico dato fisso. Temo che a questi volumi si aggiungano via via fuori quota (cioè, diciamocelo, "di straforo") portici, scuola ed eventuali locali pubblici. Speriamo poi che non si aggiungano anche i locali commerciali in sovrappiù. Sicuramente anche posteggi sotterranei, che sarebbe il minore dei mali.
E allora la madre di tutte le domande, alla quale dobbiamo ottenere rigorosa risposta, è la n. 4: Quanto è esattamente la volumetria dell'edificato, fuori terra, tutto compreso, con appartamenti, locali pubblici e locali commerciali. In che rapporto sta questo numero con quello previsto dal Piano Regolatore vigente, che deve prevedere sia i volumi abitativi, sia quelli commerciali, sia quelli per i servizi? I metri cubi abitativi saranno difficilmente modificabili; così dovrebbe essere per i volumi commerciali. Ma il Comune potrebbe chiedere "fuori quota" durante lo sviluppo progettuale, aggiunte per servizi. Se l'unico dato pubblico sono i 9.000 mq. di appartamenti previsti questi potranno essere rispettati pur gonfiando i mc. totali.
Purtroppo non potrò partecipare all'assemblea pubblica di lunedì 16 marzo nella sala parrocchiale; ma se queste perplessità sono condivise qualcuno le potrà certamente esprimere e discutere.
Cordiali saluti,
Mauro Silingardi

giovedì 12 marzo 2009

Abitare e Vivere

I curatori del blog “Uniti per Boccadasse”, mi esortano a replicare alla lettera datata il 5 marzo 2009.

Accetto volentieri l’invito, anche per rettificare l’impressione che ha suscitato la mia posizione, solo apparentemente “radicale” e priva d’aspettative conciliatorie con il progetto e l’amministrazione. Tengo a precisare che la radicalità è solo suggerita dal linguaggio, che metodologicamente critico, può apparire inquisitorio e poco incline alla mediazione. Tuttavia, è necessario premettere che la storia dell’arte, o meglio, la critica d’arte, non presuppone punti di senseria. Se un’opera è valutata negativamente non è possibile ammorbidire il giudizio, né tanto meno giungere a compromessi. Detto ciò, visto che siamo ancora in una fase dibattimentale rispetto all’opera finita, penso che ogni intervento sia essenziale per la risoluzione del caso. Un altro aspetto che desidero chiarire è la supposta incomprensione con l’amministrazione e invito a non confondere i moniti con le accuse. Giunti a questo punto è palese che la critica sia esclusivamente indirizzata al progetto e di conseguenza all’archistar Botta, la cui storia professionale e le sue creazioni, denunciano senza indugio la sua estraneità all’edilizia residenziale e all’ideazione urbanistica.
A difesa di quest’atteggiamento allora, pongo a confronto la realizzazione da parte di Riccardo Bofill dell’edificio sito nell’antica darsena di Savona, che pur reputandolo in ogni caso sovradimensionato, si pone nel contesto con elegante leggerezza ed è da considerarsi un ottimo caso d’architettura contemporanea. Questo è solo uno dei molteplici esempi, il primo che mi passa per la mente, che è per voi visibile a pochi km da Genova e se paragonato con l’intervento boccadassino o quello sarzanese concepito da Botta, offre un immediato spunto di riflessione e determinazione critica. Nella mia lettera indicai come presunzione progettuale le altezze, ma è la qualità dell’opera che contrasta con i miei punti di vista e la realtà del territorio, tanto da esprimere il mio dissenso ad alta voce, sicuro di trovare piena condivisione. Seguendo quest’analisi, si scopre che è l’errore di sistema e di metodo con cui si è concepita la riqualificazione dell’ex rimessa a generare il dibattito, nel senso che un’ingerenza di questa portata (9000 mq) comporta da parte dei committenti e dell’amministrazione il vaglio di molteplici autori e filosofie, avendo quale obiettivo la qualità dell’edificare, in linea con le moderne istanze e precisi studi ambientali e urbanistici, tesi a tutelare il paesaggio, la coerenza volumetrica del suo tessuto, dei punti di vista prospettici, il rispetto degli abitanti e dell’arte. Ora mi sembra chiaro che questa prassi non sia stata assolutamente rispettata e che la realtà odierna richieda delicatezze e attenzioni imprescindibili quando si desidera rinnovare un quartiere, perché di questo si tratta. Allora è altrettanto normale che le persone di buon senso s’indignino quando leggono le considerazioni teorico - estetiche del dott. Botta, le sue caliginose teorie sul progetto e la leggerezza con cui descrive gli edifici e l’ambiente circostante l’area edificabile, caratterizzata tout court da palazzoni anni 70, quando al contrario, la zona presenta uno spettro di tipologie abitative assai più ampie e in molti casi di contenute dimensioni. La mia impressione è che l’apparente incomunicabilità fra le rispettive parti in causa e le critiche all’architettura partecipata, siano da ricercare nella sciatta gestione con cui s’inaugurano le “riqualificazioni”. Posto che nessuno di noi desidera ostacolare qualsivoglia costruzione, il nucleo della controversia si pone semplicemente fra la buona architettura e la pessima, tenendo bene a mente che stiamo misurando un intervento di notevolissime proporzioni, nel centro di un quartiere delicato, che non è possibile sbrigativamente licenziare con le banalità pronunciate dal dott. Botta, ne trascurando serie e imprescindibili disquisizioni d’ordine estetico. L’opera dell’archistar Botta è deprecabile, tanto da suscitare la volontà d’infrangere il linguaggio critico, usando il termine vomitevole, provando un forte senso d’irritazione, il medesimo che si prova al cospetto della disonestà intellettuale. Vorrei in questa sede sollevare un altra domanda, che è squisitamente di natura economica: i committenti sono obbligati a stimare un notevole sviluppo di metri cubi a causa dell’alto prezzo pagato per il terreno, spingendo così al massimo tutti i processi speculativi? A questo proposito desidererei leggere una relazione stilata da un professionista, con cifre e relativa glossa, per comprendere se l’eccesso edilizio sia cagionato da un peccato o un errore originale. Giunti a questo punto desidero concludere il mio scritto enunciando che sul terreno dell’ex rimessa si costruisca con la dovuta consapevolezza e che il prodotto sia un ottimo esempio contemporaneo d’architettura residenziale, che porti rispetto al decoro, alle visuali, agli abitanti e all’armonia di contesto e del paesaggio, quindi che la cultura dell’artefice e dei committenti corrispondano ai principi qui enunciati e si pongano con sincera volontà a valorizzare l’area, senza compromettere la propria professionalità e buon nome, prestandosi ad un’ennesima speculazione, con il desiderio che tutto il loro lavoro divenga esempio e argomento di libri di testo. A molti quest’affermazione potrà apparire sproporzionata, ma basta soffermarsi un attimo per rendersi conto che oltre al particolare, queste considerazioni sono alla base di sistemi collettivi che determinano la qualità generale dell’esistenza, perché una buona architettura genera una buona qualità della vita, è un baluardo contro la devianza sociale, il primo assioma per concepire il futuro dei nostri figli.



Antonio Gesino

mercoledì 11 marzo 2009

Meno Abitanti = Meno Case


Ho letto il post sul Blog di Preve. Il titolo è "- Abitanti + Case, la domanda oscena".
La domanda non è oscena, è scandalosa: "gli abitanti di tutta la Liguria diminuiscono per ovvi motivi anagrafici, perchè costruiamo ancora palazzi?" La domanda è scandalosa perchè, appunto come la verità, dà scandalo.
Che dire, io sono un ingenuo, e penso che la crisi demografica e anche quella economica siano una grande opportunità per pensare meglio a quello che stiamo facendo. Per me l'equazione giusta è - Abitanti - Case. Però io sono un ingenuo. Tanto da pensare che forse anche per la gronda un'altra soluzione sia possibile, che forse investendo nel trasporto ferroviario e incentivando con forti benefit fiscali il trasporto su autotreni nelle ore
notturne, le strutture viarie che abbiamo, magari ce la fanno. Forse decidendo di spendere soldi per mettere intelligenza nel trasporto con l'intermodalità, la triangolazione, l'incentivo a consumi legati a una produzione del proprio territorio (non è autarchia, è solo buon senso), forse ce la facciamo e spendiamo pure meno, non riduciamo le nostre montagne a gruviera ed evitiamo perfino di demolire le case di nostri concittadini, e forse evitiamo anche di costruirne di nuove altrove.
La vera grande opera che un'amministrazione pubblica potrebbe dirsi orgogliosa di lasciare alla collettività non è un ponte, una galleria o un palazzo. E' software, è informazione, qualcosa di talmente immateriale da rendere inutile e perfino grottesca l'esistenza di una nuova grande opera.
Nell'ultimo mese ho fatto molti Km di autostrada su e giù per l'Italia: non è che abbia proprio visto queste code interminabili di autotreni, anzi, rispetto a qualche anno fa ho notato un calo impressionante. Per dirla tutta si viaggiava bene sulle autostrade che già abbiamo (e teniamocele care).
Secondo me l'opzione zero ora esiste e una comunità degna di questo nome dovrebbe tentare di tutto per praticarla. Alla favola del buon tempo andato io non credo perchè un po' me lo ricordo, però a me non piace il mondo che ci stanno preparando e la domanda che mi pongo di continuo è se non mi piace perché sono vecchio o perché è sempre meno fatto per piacere. A me piace un mondo dove se la prima casa è quasi sempre una necessità, la seconda è quasi sempre una sciocchezza, un mondo dove il car sharing è la normalità, non l'eccezione, un mondo fatto di cittadini, non sudditi, una comunità che vuole essere protagonista e non si accontenta di essere complice. I nostri interlocutori non sono irresistibili: molti amministratori locali sono culturalmente impreparati, e la classe politica al governo nazionale è una specie di Punta Perotti delle istituzioni. Peccato non si accorgano, così facendo, di fare del male. Anche a loro stessi.

Paolo V.

martedì 10 marzo 2009

Zone Blu


Oggi ospitiamo l'intervento di Andrea Bisi che esprime alcune considerazioni sull'istituzione della zona blu nel nostro quartiere. A questo proposito io sono sempre molto scettico. La manovra mi sembra determinata dalla volontà di vendere tanti box ancora invenduti, tra cui i 200 e fischia che si costruiranno sotto la rimessa. Andrea è di parere diverso.

Ciao Paolo,
ti ringrazio per la cortese ospitalità, per cui non mi faccio pregare ad esprimere la mia opinione, partendo magari un po' da lontano.
I miei genitori abitano da quasi trent'anni anni in via Antiochia, una traversa di Corso Buenos Aires, zona dove il parcheggio è stato da sempre problematico.
Quando quattro o cinque anni fa l'amministrazione comunale vi introdusse le Zone Blu, l'innovazione fu accolta dai residenti con scetticismo e diffidenza. In generale si pensò all'ennesimo espediente per spremere soldi o, nel migliore dei casi, ad una iniziativa velleitaria di qualche assessore fissato con l'ambiente. Tuttavia, alla prova dei fatti, ci si rese conto che l'idea funzionava. L'occupazione dei parcheggi si diradava in modo sensibile, sparivano le auto in doppia fila e, a fronte del pagamento di un modesto canone annuo (euro 25,00), gli abitanti della zona acquisivano, se non la certezza, almeno un'alta probabilità di trovare il posto sotto casa. Anzi, chi aveva ipotizzato dispendiosi e complessi investimenti in aree da adibire a box, si rendeva conto che lo stato di necessità era venuto meno e tranquillamente abbandonava il progetto.
Oggi, se qualche amministratore pubblico proponesse il ritorno all'antico in quella zona, secondo me dovrebbe affrontare una rivolta di piazza. La controprova è data dal fatto che in molti quartieri sono nati comitati spontanei per l'adozione delle zone blu.
Questo è solo un parere personale e ciò che funziona in centro può non funzionare in periferia. Secondo me anche in Albaro sentiremo i benefici del provvedimento, sebbene in misura più contenuta. La situazione non è per questo destinata a peggiorare, visto che i più penalizzati saranno coloro che utilizzano il quartiere come zona di scambio per poi proseguire verso il centro con il mezzo pubblico.
A prescindere dall'interesse particolare di ciascuno di noi, trovo poi convincente anche l'impostazione teorica sottostante all'adozione delle zone blu, che riassumerei nei seguenti punti:
1) Consentire alla generalità delle persone di possedere un'auto e di parcheggiarla nei pressi di casa senza per questo dovere ricorrere all'oneroso acquisto di box;
2) Evidenziare che comunque il suolo pubblico comunale è una risorsa e, nel caso di Genova, una risorsa scarsa, per cui chi la utilizza deve in qualche modo remunerare la collettività, in modo simbolico quando l'utilizzo è sotto casa, ed in modo più incisivo quando invece si sposta;
3) Scoraggiare il trasporto persone in città su autovettura privata, fonte primaria di congestione ed inquinamento.
Per concludere, sono stato fortemente critico nei confronti di quest'amministrazione quando ha cercato di penalizzare noi vespisti, ma, almeno in questo caso, non mi associo al coro dei mugugni sul sito del Secolo XIX.
Nè penso si tratti di una manovra volta ad indurci all'acquisto dei box facenti parte del noto progetto Botta, su cui, a scanso di equivoci, ribadisco la mia totale personale consonanza con le idee del comitato.
A questo punto, con vivo interesse e benevola attenzione, attendo le considerazioni che vorrete esprimere in argomento.

Tanto cari saluti,

ANDREA BISI

sabato 7 marzo 2009

Un altro modo è sempre possibile


Oggi pubblichiamo un contributo di Antonio Gesino. Chi di noi lo conosce sa che Antonio, apprezzato storico dell'arte, ha posizioni molto radicali sul futuro dell'area della rimessa. Purtroppo le sue idee non vanno d'accordo con quelle dell'Amministrazione. Ci piace sentire cosa dice e sperare che una mediazione sia possibile.

E' obbligatorio cominciare il mio intervento con una citazione - imprecazione di Tom Wolfe, "Maledetti Architetti", dove l'autore esprime quanto l'architettura si è distaccata pericolosamente dalla vita quotidiana, diventando egocentrica e teorica, ma soprattutto, sempre più allineata con la politica, non quella della buona amministrazione pubblica e del vivere civile, ma quella di un dissennato impulso ad ottenere risultati economici, adottando modalità d'intervento e gestione specifici dei soggetti privati. Per queste ragioni l'architetto è diventato "maledetto" e i progetti ne riflettono tutti i difetti e le incompatibilità. Che il dott. Botta è una celebrità dell’architettura contemporanea, non cambia assolutamente il giudizio critico complessivo sul progetto attinente all’ex rimessa di Boccadasse e basta osservare le planimetrie tridimensionali, per rendersi conto di quanto è invasivo e sovradimensionato rispetto al contesto. È altrettanto stupefacente come l’architetto affermi di aver accuratamente evitato di ricalcare “l’idea dei palazzoni anni Sessanta – Settanta, che per altro sono al margine”, trascurando che la sua filosofia costruttiva ricalca quella degli edifici anni Ottanta, non certo migliori e di minor impatto. L’analisi delle forme e dei volumi, oltre ad evidenziare i gravi difetti prima enunciati, evidenziano che le altezze sono ben oltre i limiti delle case vicine e si comprende come la procedura progettuale è il frutto di una visione del territorio dall’alto (anche dal punto di vista emotivo e intellettuale), studiato e valutato su delle planimetrie. Nell’articolo di Repubblica – Lavoro di sabato 28 febbraio, si evince un’altra anomalia non trascurabile, o meglio, una totale inconsapevolezza e non conoscenza dell’urbanistica locale da parte del dott. botta, che immagina le sue costruzioni in “mattone molto chiaro, rosato; anche una pietra dai colori pallidi, in ogni caso una materia naturale, che abbia un dialogo di facciata con il verde”. Queste affermazioni se prese alla lettera possono apparire inappuntabili, specialmente nell’eventualità che il lettore sia disinformato sulla reale caratteristica urbana del quartiere, che tuttavia non confina con nessun parco o zone verdi. Bisogna poi ricordare che a Genova non esiste la tradizione del mattone, il laterizio non appartiene alla cultura ligure, quindi oltre alle eccessive dimensioni dell’intervento si somma la sua spiccata visibilità e tutta la sua bruttura. Se fino adesso ci siamo limitati a valutare gli aspetti estetici, si deve ricordare che un centinaio d’appartamenti e più di 200 posti auto con entrata in via Fausto Beretta, costituiscono un’alterazione rilevante dei già precari equilibri sociali e del traffico automobilistico, componenti queste, che l’amministrazione e il progettista non possono trascurare. Detto ciò, stupisce ma non sorprende, che l’architetto non valuti quale progetto migliore quello che mantiene i volumi e le altezze (specialmente quest’ultime) della costruzione odierna, che oltretutto consente risoluzioni abitative di gran fascino e potenzialità. Basti considerare come attorno all’edificio possano scorrere i giardini degli appartamenti posti al pian terreno e che sul tetto si possano immaginare i terrazzi degli alloggi posti all’ultimo piano, creando un impatto ambientale ed estetico per nulla invasivo e pienamente condivisibile dagli abitanti del circondario. Capisco che l’archistar ne soffre, ma se per una volta riuscisse a controllare i suoi istinti di libido dominandi ed egoriferiti, sfruttando le sue competenze, potrebbe raggiungere un eccellente risultato, portando rispetto agli abitanti ( che non ragionano con egoismo), il territorio e specialmente, all’arte a cui presta servizio. Come storico dell’arte non posso appoggiare il disegno e la mentalità dell’architetto Botta ed esprimo questo giudizio critico senza opacità e le riserve che porto alla categoria, che negli ultimi decenni ha sfigurato e svilito questo paese e ha ancora l’ardire supponente che “ad esser bravi si può costruire anche in piazza San Marco…”.

Boccadasse non è Venezia, ma il pensiero criminale è il medesimo e a questo proposito mi avvalgo di citare l’articolo 5 dei “14 reati paesaggistici” e le regole per costruire un paesaggio migliore: Edifici fuori scala o in forte contrasto con i caratteri dell’edilizia tradizionale locale. La qualità delle nuove costruzioni che introducono tipologie edilizie che rompono le proporzioni tradizionali dell’insediamento storico introducendo altresì modelli e disegni architettonici omologanti e di forte impatto sul paesaggio” ( a cura di Italia Nostra, in V. Sgarbi, Un paese sfigurato. Viaggio attraverso gli scempi d’Italia, Milano 2003, pp. 121 – 125).

Antonio Gesino

giovedì 5 marzo 2009

Si fa presto a dire porticati



Lunedì scorso abbiamo partecipato numerosi all'Assemblea Pubblica di presentazione del nuovo progetto. Il nervosismo era palpabile e ha fatto capire a tutti che se sono piccoli i margini di trattativa verso le posizioni del quartiere che è arrivato in maniera provocatoria e rumorosa a chiedere di riavere la propria rimessa, anche dall'altra parte l'accoglienza gelida deve aver messo sull'avviso Architetto e Istituzioni.
Onore a Botta che ha avuto il fegato di presentarsi di fronte a un'assemblea ostile e tenere il punto delle sue posizioni per due ore filate. Ci rammarichiamo che le legittime istanze personali emerse durante l'incontro abbiano fatto passare in secondo piano temi più generali per il quartiere. Il Comitato si fa carico di questa mancanza. E' mancata da parte nostra una sufficiente comunicazione preventiva al quartiere. Bisogna dire che, purtroppo non siamo neanche stati messi in grado di attuarla: a che scopo fare un'assemblea di quartiere quando il tuo interlocutore non ti ha fornito alcun elemento su cui discutere?
Questo però dovrebbe fare riflettere tutti sull'opportunità di condividere al meglio le informazioni: meglio avere di fronte cittadini arrabbiati e preparati, piuttosto che un'assemblea confusa e impaurita (e arrabbiata).
Solo una piccola nota da profano s'intende, sui porticati profusi nel nuovo progetto: qui, per ora, abbiamo solo un porticato di 4 metri X 4, poca cosa naturalmente. E' riprodotto nella foto in un giorno qualunque. E per chi ancora avesse dei dubbi, sì, quella macchia è proprio vomito a seguito di sbronza.

Paolo V.

giovedì 26 febbraio 2009

Architettura e Potere























Forse è il caso di andarci...

Genova, 5 marzo 2009 ore 17
Ordine degli Architetti PPC di Genova_piazza San Matteo 18

una conversazione con
Giorgio Parodi, Presidente Ordine PPC Genova
Enrico Arosio, giornalista, L'Espresso
Stefano Boeri, architetto e direttore di Abitare
Giovanni Caudo, urbanista, Facoltà di Architettura RomaTre
Massimo Ilardi, sociologo urbano, Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno
Tommaso Principi, Paolo Brescia_architetti/Open Building Research
Fabrizio Violante, critico cinematografico/Archphoto.it

modera Emanuele Piccardo, architetto e curatore Archphoto.it

“L’architetto è stato sempre intimamente legato al suo contesto sociale. Egli è uno degli strumenti umani posti al servizio del potere dominante, ha il mandato di consolidare le posizioni. L’architettura, oltre ad assolvere ad una sua diretta funzione, ha sempre avuto il compito di mantenere il potere … L’architettura non è un fatto autonomo, come certe prime donne del disegno ci vogliono far credere; l’architettura nasce e si forma nel grembo della società, è il prodotto di una età specifica, di un epoca definita.”
(Hannes Meyer)
L'architettura da sempre si relaziona con il Potere, essa stessa è la rappresentazione fisica del potere politico, economico e culturale del pubblico e del privato. La politica ha condizionato la costruzione e l’espansione delle città, individuando nell’architettura uno strumento di propaganda ideologica. Oggi, con la scomparsa dell’ideologia, la politica ha abbandonato il governo delle città delegando al mercato la regia delle trasformazioni urbane. D’altronde gli stessi architetti hanno contribuito ad alimentare questo appiattimento sulle regole del mercato, in cui il profitto occupa il primo posto, annientando quelle finalità sociali che l’architettura ha invece nel suo dna. Il permanere dell’intreccio tra affari-politica-architettura fa sì che si confonda il risultato del progetto, inteso come sintesi di un processo, con il manufatto edilizio costruito dai più spregiudicati immobiliaristi che producono la non città. Quale contributo può fornire l’architetto nel definire l’idea di città? Gli ultimi anni hanno evidenziato una doppia crisi: in primis, quella urbanistica ossia l’incapacità di regolamentare l’uso del territorio attraverso una normativa che limiti l’espansione incontrollata generatrice del fenomeno della città diffusa. La seconda causa va ricercata nella debolezza dell’architetto nei confronti del committente in termini di incidenza sulla qualità formale e costruttiva delle opere realizzate. L’assenza di una visione a largo raggio, al di là delle scadenze elettorali, pone la politica in una condizione di mediocrità culturale a cui l’architetto, con i suoi strumenti, deve sopperire. E’ il caso dell’Affresco che Renzo Piano regala alla sua città, Genova, dove immagina lo sviluppo urbano tra un decennio e oltre, ipotizzando uno scenario futuro. Recentemente, dopo l'ondata giustizialista di Tangentopoli, abbiamo assistito ad un ulteriore degrado etico e morale della professione dell'architetto, figura sempre più portavoce di un potere imprenditoriale che non produce, così come ci viene proposto, nessun valore aggiunto per la nostra società. Occorre che il mondo dell'architettura, intellettuale e professionale, faccia autocritica per aver sostenuto e difeso modalità del fare architettura prive di ogni etica che hanno determinato l'assenza dell'opera architettonica. E' ormai prassi consolidata tra i progettisti formare cordate con gli imprenditori per assaltare e conquistare porzioni di territorio sempre maggiori, senza un progetto politico che sappia orientare e condizionare le scelte immobiliari. A nessuno degli immobiliaristi italiani ne tanto meno ai politici, interessa l'architettura, anzi usano gli architetti, il cui difetto è vendersi al miglior offerente, per mascherare operazioni speculative attraverso un disegno accattivante e trendy di mere speculazioni edilizie. La questione etica non va sottovalutata e l'architettura, in cui noi viviamo quotidianamente, non può essere rappresentata da corruttori e corrotti, in quanto la sua caratteristica intrinseca è migliorare le nostre condizioni di vita. Sbaglia chi, tra gli architetti e sono molti, considera la questione etica solo un problema di stile o un'appartenenza ideologica al giustizialismo. L'etica e la trasparenza di coloro che amministrano una comunità devono costituire una base per rifondare la società contemporanea, certo i malesseri che attraversano i territori della politica non indicano una soluzione rapida.

sabato 21 febbraio 2009

Mission Impossible



Come si può essere efficaci nel comunicare a chi non abita qui, che noi, noi del quartiere, chiamatelo Boccadasse, e se il termine vi sembra usurpato, perchè noi non siamo nel borgo storico, quello delle cartoline, beh, allora chiamatelo il quartiere della Rimessa, a me va bene lo stesso, in effetti è la cosa più al centro, più grande, ingombrante e fragile che abbiamo. Ecco, come si può dire a chi sembra addirittura non voler sentire, che noi, tutti noi, non sentiamo affatto l'urgenza di un'architettura creativa. Diciamo che siamo persone semplici e ci basta ciò che abbiamo, niente dighe o torri. E nel pieno rispetto di chi costruirà chiediamo rispetto per chi vive qui da sempre e non vuole vedere tutte le mattine, aprendo le persiane, un altro peccato edilizio.

Paolo V.

venerdì 20 febbraio 2009

Ieri sera c'è stata l'Assemblea tra i Promotori. Che bello.



Un momento di democrazia. L'occasione per comunicare il percorso fin qui fatto e le azioni condivise da intraprendere ora. Dovremo farlo più spesso. Non solo noi. E non solo per la rimessa.

Paolo V.

giovedì 19 febbraio 2009

Stasera Assemblea dei Promotori. Che bello!




A tutti gli aderenti al
Comitato “Uniti per Boccadasse”

Il giorno 19 febbraio 2009 alle ore 21.00 presso la sala parrocchiale di Via Aurora in Boccadasse (sala parrocchiale ex-asilo) è indetta l’assemblea plenaria degli aderenti al Comitato “Uniti per Boccadasse” con il seguente ordine del giorno:
- informazioni sullo stato dell’arte dei progetti riguardanti l’ex Rimessa AMT;
- discussione/condivisione delle azioni/linee che il Comitato dovrà portare avanti nei prossimi incontri con le istituzioni.
In considerazione dell’importanza degli argomenti trattati, si prega di partecipare numerosi.

Cordiali saluti.



Il Comitato “Uniti per Boccadasse”

mercoledì 18 febbraio 2009

Uniti e arrabbiati



Ciao a tutti,

Volevo fare alcune considerazioni sulla nostra attività.
Noi abbiamo sicuramente ottenuto dei risultati che, però, a mio parere, saranno difficilmente recepiti da chi ci ha dato le firme. Siamo rimasti in attesa di progetti che sapevamo già essere la riproposta di Botta 1, infatti Botta 2 avrà i gasometri e, se ci sarà un Botta 3, questi saranno triangolari, ma sempre Botta saranno!
Alla gente Botta non piace e nemmeno a noi e dobbiamo farlo sapere al Sindaco e alla popolazione. L'impressione che ho è che ci stanno dando del fumo negli occhi con la citta partecipata, l' osservatorio etc.
Parlando con la gente del quartiere, ho capito che i firmatari hanno in mente altri progetti, progetti che assomigliano, in grande naturalmente, alla casa ristrutturata in fondo a via Sturla e in giro per Genova ci sono altri esempi; non dico costruzioni come quelle di Boccadasse ma che abbiano almeno qualcosa di genovese.
E' vero che i nostri palazzi costruiti negli anni '60 intorno alla rimessa sono di 4- 5 piani, ma perché peggiorare la situazione? Noi dovremmo lottare per migliorarla e poi le case di Via A. Da Brescia sono più basse e più adeguate alla zona.
Quindi secondo me dovremmo chiarire, con la stampa e con le istituzioni che per noi Botta non esiste proprio e dobbiamo insistere per avere almeno un paio di altri progetti. Noi sappiamo che forse non esistono, però almeno uno ci è stato promesso.
Perderemo probabilmente, ma avremo lottato e il sindaco si perderà 1800 voti e il quartiere capirà.
Oltre ad insistere sul problema fondamentale delle altezze, sono d'accordo con voi che dobbiamo puntare decisamente sulla viabilità. E non sarebbe male che un angolo di verde (due panchine e qualche albero) fosse di tutti e non solo dei privilegiati dell'Abitcoop.

Gianfranco L.

domenica 8 febbraio 2009

Geniale


La rubrica "Le Lettere" del Secolo XIX ieri era tutta dedicata all'ipotesi di costruire una rimessa per gli autobus sotto Villa Gentile. Naturalmente condivido le preoccupazioni di chi ha scritto. Con loro mi chiedo anch'io qual'è l'opportunità per il Comune nell'incassare alcune decine di milioni di euro da un privato vendendogli una rimessa funzionante per poi spenderne senz'altro di più per costruirne una interrata sotto un campo di atletica bellissimo a cui dovremmo tutti (anche chi non fa atletica) portare rispetto.
Speriamo si tratti solo delle solite parole al vento a cui siamo fin troppo abituati. Ma anche così questa notizia mette molta tristezza.
Del resto gli esempi di inadeguatezza non ci vengono lesinati dai nostri amministratori. Sul Secolo XIX di venerdì scorso leggo che a fronte di un investimento milionario per attrezzare le strade di Nervi con carica batteria induttivi annegati nell'asfalto per far circolare autobus elettrici, si scopre, naturalmente a impianto ultimato, che le strade di Nervi sono assai in salita e gli autobus elettrici non ce la farebbero. Ma chi è il genio che ha speso i nostri soldi per questa sciocchezza?
E' esagerato dire che alcuni (molti) amministratori pubblici sono culturalmente impreparati?
E' esagerato affermare che anche qui, per la rimessa di Boccadasse, un'altra soluzione era e forse è ancora possibile?

Paolo V.

venerdì 6 febbraio 2009

Prima vivevamo solo nello stesso posto. Ora siamo un Quartiere.


Ciao a tutti,

Volevo spendere alcune parole sul Comitato. Io grazie al Comitato ho conosciuto persone che è vero che avevo vicine all'interno del quartiere dove sono nato, cresciuto e dove probabilmente morirò, ma per via della vita sia affettiva che professionale, sia per via del carattere chiuso e poco incline ad accettare nuove amicizie o conoscenze, tipico un pò di noi genovesi, non avevo mai avuto l'occasione di conoscere i miei vicini più o meno confinanti. Io sono molto contento di questa possibilità che il Comitato mi ha dato, perchè ho conosciuto persone, ho potuto scambiare pareri ed opinioni le più disparate, credo che tutto questo abbia accresciuto la mia persona se non altro per essermi relazionato con altri.
Sono convinto che il Comitato, non debba esaurirsi con il progetto Botta, perchè secondo me deve continuare ad esistere e a crescere anche dopo che il "progetto Botta" sarà stato realizzato. Dico questo perchè comunque vada (speriamo che vada nella direzione che vuole il Comitato) il Comitato deve restare vigile, attento e profondo conoscitore dei cambiamenti o delle necessità che il nostro quartiere palesa e paleserà nel tempo, questo se non altro per rispetto delle generazioni future (figli, nipoti, ecc).
Spero che molti di Voi condividano queste mie opinioni personalissime, che avevo in mente e che ho ritenuto opportuno esprimere e portare alla Vostra conoscenza.
Ciao a tutti.
Roberto B.

mercoledì 21 gennaio 2009

lunedì 5 gennaio 2009

"Noi difensori del paesaggio non abbiamo certamente l'autorità per giudicare le opere in senso assoluto; ma possiamo osservare come tali opere, anche quando si tratti di pregevoli saggi di architettura contemporanea (assai rari per la verità), fanno a pugni col paesaggio". Mario Fazio, giornalista, scrittore e presidente di Italia Nostra, rivista del Touring Club Italiano, 1959.
Mezzo secolo dopo, avremo imparato qualcosa?

mercoledì 24 dicembre 2008

ASPETTANDO MARTA
E IL NATALE
In una pigra domenica autunnale, poco prima delle grandi piogge, quando il sole ancora scalderebbe ma l'aria già fa rabbrividire, i fedeli escono da Messa a Boccadasse. S'allontanano dall'ombra del sagrato, s'infilano lesti in corso Italia, spiando il mare, la luce, cercando il calore, salutano intorno incuriositi. Eh sì, perchè in chiesa a conclusione della predica hanno sentito: - Fuori c' è il banchetto, firmate per Boccadasse - . Puntuale ogni sacerdote lo ha ripetuto e così, accanto ai volontari con le piantine di beneficenza, ci sono altri volontari, quelli del Comitato della "diga", che hanno messo su un tavolino nel cortiletto della chiesa. Mostrano foto, spiegano e invitano a firmare. Quasi nessuno disdegna, i più ascoltano e firmano, anche se magari abitano al Righi. Pare un affronto. Pagine e pagine di firme, milleseicento: chi li fermerà? E' per Boccadasse, dove pure il più famoso commissario della tv ha la fidanzata, E' un pezzo di Genova
, ancora uguale a se stesso, per ora.
I mesi sono passati da allora e da quando la Sindaco disse, erano i primi di ottobre, che i tempi sarebbero stati brevi, in un percorso di Città Partecipata, nulla sì è saputo. I tempi sono grami, per carità, la crisi economica, il Bilancio Comunale, le débat publique della Gronda, la questione morale del Pd.
E intanto i residenti aspettano un incontro, mai comunicato e forse mai deciso.
Prima il Progetto, giusto, poi il percorso di partecipazione, fra cittadini, Istituzioni e Committenti, ma una parola, un segnale: sembra davvero di aspettare Godot. Come passeranno il Natale Renato, Paolo, Antonietta, Grazia... tutti quelli che prima o poi vedranno portare via l'amianto, gli olii dei vecchi autobus, macerie infinite? E' vero non hanno più il rumore delle vecchie sgasate marmitte, ma per anni avranno polvere, camion, transenne e forse non vedranno più la luce dalle loro finestre. Ma che vuoi che sia, la Marta fra un 'inaugurazione, una cerimonia, una proposta autoreferenziale di Città dei Diritti, dell'Agenzia della Sicurezza Energia, di porta-porto dell'Expò 2015, è davvero troppo occupata. A meno che non si scrivano titoloni sulla stampa: forse allora qualcuno si farà vedere, forse sentire. Agli abitanti di Boccadasse un Buon Natale, sereno soprattutto, facciamoci gli auguri fra noi, gente comune, la politica ultimamente ha sempre da fare qualcos'altro.
(Bianca Vergati)

OLI
Osservatorio Ligure sull'Informazione
Newsletter n. 20424 dicembre 2008